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SARLA THAKRAL

Sarla Thakral
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Quella di Sarla Thakral è una storia che merita di essere raccontata a voce più alta.
Sì, perché questa ragazza nata a Nuova Delhi all’inizio del secolo scorso ha dovuto far sentire la propria voce forte e chiara per ottenere il primo brevetto di volo concesso a una donna in India.

Sarla nasce nel 1914 da una famiglia di vedute aperte, per quell’epoca. Nonostante l’educazione moderna ricevuta e l’ambiente agiato al quale i suoi genitori appartenevano, si sposò a quella che per ogni ragazza indiana era considerata la giusta età da marito: sedici anni.

Fu proprio grazie al marito, il Capitano P.D. Sharma, che la giovanissima Sarla iniziò ad appassionarsi al volo. Sharma era un uomo intelligente e aperto al progresso, nonché il primo tra gli indiani a conseguire la licenza di pilota di posta aerea. Così, dopo un addestramento e mille ore di volo accumulate su un aereo del Lahore Flying Club, la Thakral divenne la prima donna in India a ottenere una licenza di volo di tipo “A”. E lo fece indossando un coloratissimo sari indiano e camminando a testa alta di fronte alle critiche. Per questo nessuno osò mai ostacolarla.

Purtroppo però, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e la morte improvvisa del marito fecero sfumare il sogno di Sarla di ottenere il brevetto successivo di pilota commerciale. Con un figlio da crescere e la capacità di adattamento di un camaleonte, l’aviatrice si trasformò presto in una brillante designer di tessuti, nonché in una pittrice di successo grazie al diploma in Belle Arti conseguito presso la Bengal school of Painting.

Fu pilota, moglie, madre, imprenditrice e artista, ma soprattutto una donna felice.
In una sua dichiarazione disse: “Always be happy, it is very important for us to be happy and cheerful. This one motto has seen me tide over the crises in my life.” (“Sii sempre felice, è molto importante essere felici e positivi. Questo è il motto che mi ha permesso di superare le crisi della mia vita.”)

5 COSE CHE NON SAPEVI SUL PRIDE

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Pride! Pride! Pride! Quanto sai davvero sulla marcia dei diritti LGBTQIA+?

Il Pride è orgoglio color arcobaleno e festa di tutti gli individui.

E visto che nell’arcobaleno c’è anche il turchese, torniamo a celebrare i Diritti di Tutt* con un nuovo articolo dedicato a storie, aneddoti e curiosità legati al Pride.

5 cose che non sapevi sul Pride

  1. Da dove viene il nome “Pride”? La maternità del nome “Pride”, riferito alla parata dell’orgoglio, è stata attribuita a Brenda Howard, attivista e pacifista del Bronx – New York. Brenda fu soprannominata infatti “Madre dell’orgoglio”, per aver collaborato all’organizzazione della Christopher Street Liberation Day March, diventata poi la ricorrenza annuale (mese di giugno) della celebrazione LGBTQIA+ in tutto il mondo.
  2. Parata dei Primati. La più grande Pride Parade del mondo si tiene a San Paolo, in Brasile. Nel 1997, alla sua prima edizione, contava solo 2000 partecipanti, ma già nel 2006, il Guinness dei Primati l’ha nominata il “Gay Pride” più grande del mondo, con i suoi 2,5 milioni di partecipanti.
  3. La modella rivoluzionaria. Marsha P. Johnson, modella di Andy Warhol e attivista transgender, è stata una delle figure più importanti dei moti di Stonewall del 1969. Co-fondatrice delle STAR – Street Transvestite Activist Revolutionaries, si impegnò per dare assistenza ai giovani trans e non binary in difficoltà. A chi le chiedeva per cosa stesse la P. del suo secondo nome, rispondeva “Pay it no mind”, ovvero “non ti interessa”.
  4.  Il poliziotto ballerino. In una parata del Pride a New York nel 2015, un poliziotto che presidiava la manifestazione ha deciso di ballare con alcuni partecipanti del corteo. Il video del ballo è diventato virale sui social e l’agente ha ricevuto apprezzamenti per la sua apertura mentale e il suo coinvolgimento nella celebrazione dell’amore e dell’uguaglianza.
  5. Hallelujah! Durante la parata del Pride di San Francisco nel 1997, la cantautrice canadese k.d. lang stava sfilando insieme ad altre celebrità, quando il carro si è improvvisamente fermato. Mentre aspettavano di ripartire, k.d. lang ha improvvisato un concerto a cappella intonando Hallelujah di Leonard Cohen. La folla è rimasta incantata dalla performance spontanea e quando il carro è finalmente ripartito, k.d. lang ha continuato a cantare dando vita a un momento leggendario nella storia del Pride di San Francisco.

Perché parliamo di Pride?

Il Pride rappresenta un momento di celebrazione, riflessione e sostegno per la comunità LGBTQIA+, un lungo viaggio, anche questo, verso la legittima conquista dei diritti civili. Un orgoglio per tutti no?

BREVE STORIA DEI SEDILI DEGLI AEREI

sedili aerei Air Dolomiti
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Comodi, rivestiti, reclinabili e rigorosamente dotati di cinture di sicurezza: i sedili degli aerei moderni sono piccole poltrone multifunzionali capaci di offrire ogni comfort.

Ma anche i sedili, come tutte le parti che compongono gli aerei, si sono evoluti nel tempo, fino a diventare quelli che conosciamo oggi.

I primi aerei

Come abbiamo già raccontato nel nostro articolo sulla storia dei tavolini pieghevoli, negli anni ’20 e ’30 gli aerei iniziarono a trasportare i passeggeri, dando vita all’aviazione commerciale.

Inizialmente, gli aerei erano un lusso riservato a pochissime persone, spesso molto abbienti. Le cabine dei primi aerei di linea furono quindi “arredate” come salotti per incontrare i gusti dell’élite dei passeggeri, con tanto di tappeti, ampie poltrone in vimini e cuscini di piuma d’oca.

Più passeggeri = più posti a sedere.

Sedili aerei bianco e nero

Con la crescita della domanda e la sempre maggiore diffusione degli aerei come mezzi di trasporto civile, la disposizione e il design dei sedili degli aerei si adeguarono di conseguenza.
Ma soprattutto, negli anni ’50 si andavano affermando i principi di una nuova disciplina, l’Ergonomia, che metteva i bisogni dell’utente/passeggero al centro della progettazione degli ambienti domestici, di lavoro e di trasporto.

Gli interni degli aerei furono riorganizzati con nuovi layout e le poltrone assunsero quasi subito la disposizione che conosciamo oggi: file di sedili orientate verso la prua e separate da un corridoio centrale. Proprio come al cinema.

E infatti già nel secondo Dopoguerra fece la sua comparsa l’IFE – In-Flight Entertainment sotto forma di pellicole proiettate su uno schermo a prua, tra la cabina e il cockpit.

La musica in cuffia con il collegamento nel bracciolo arrivò invece solo nel 1985, per lasciare il posto ai computer integrati nelle poltrone del nuovo Millennio.

Questione di sicurezza

Già verso la fine degli anni ’30 si iniziò a installare tubi di alluminio e cinture di sicurezza in pelle sui sedili degli aerei più moderni. Le imbottiture più spesse e i rivestimenti in velluto rendevano il viaggio più gradevole e le sedute rinforzate in caso di turbolenza.

Il tema della sicurezza è quello che più di ogni altro ha giocato un ruolo fondamentale nella trasformazione degli interni degli aerei, in particolar modo dei sedili.

Oggi i sedili degli aerei sono costruiti per garantire la maggiore stabilità possibile ai passeggeri, secondo norme specifiche e con materiali sempre più leggeri e resistenti.

I sedili degli aerei del futuro

C’è chi dice che nel prossimo futuro assisteremo a ulteriori cambiamenti in tema di layout dei sedili degli aerei. Sono molti i designer che propongono nuove soluzioni.

Tra i progetti più rivoluzionari, secondo la rivista Wired, c’è quello del designer Emil Jacobs di Cambridge, Massachusetts, che utilizza lo spazio verticale tra le cappelliere per ricavare zone relax.

Il designer Benjamin Hubert – con il suo studio Layer – ha invece progettato un prototipo di poltrone per aerei realizzate in tessuti “intelligenti”, che migliorano l’esperienza di volo dei passeggeri attraverso l’acquisizione di dati corporei (temperatura, peso, movimenti, ecc.) gestiti da un’app.

TORINO CON I BAMBINI

Turin, Italy - October 13, 2019: A clown animating adults and children during a fall's sunday with soap bubbles in Piazza San Carlo
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Attraverso gli occhi dei bambini ogni luogo è magico.

Torino è nota agli appassionati di magia di tutto il mondo per essere un luogo colmo di simboli e di energie.
Qui sono nati alcuni dei prestigiatori più abili della storia, come l’illusionista Bartolomeo Bosco, molto apprezzato da Napoleone, il mentalista Gustavo Adolfo Rol, che fece la storia dei numeri magici con le carte negli anni ’70, fino alla star dei nostri giorni Arturo Brachetti, trasformista, attore, illusionista e regista di teatro.

Insomma, se scegliete di visitare Torino con i bambini, dite loro che qui la magia “esiste davvero”.

Ecco 5 consigli per trasformare la vacanza dei vostri bambini a Torino in un’esperienza “magica”

1. La piccola città ciclabile. All’interno del Parco Crescenzio, in Lungodora Colletta, esiste un circuito di strade in miniatura (con tanto di segnaletica, precedenze, parcheggi e finti passaggi a livello) pensato per insegnare ai più piccoli come muoversi in città in sicurezza. Questo è il posto giusto per fare un bel giro in bicicletta, triciclo o monopattino e per imparare le regole della strada attraverso il gioco. Vedrete: i bambini si sentiranno “magicamente” trasformati in adulti responsabili.

trenino a cremagliera

2. Viaggiare su una… Dentiera. La “dentiera” è il trenino a cremagliera che collega Torino al colle di Superga fin dal 1884. Si parte dalla Borgata Sassi, ogni ora nel periodo estivo e ogni due ore in quello invernale. Il viaggio dura 20 minuti (è gratuito per i minori di 6 anni) e possiamo assicurarvi che i bambini rimarranno incantati dalla bellezza del panorama, paragonabile solo a quello di cui si gode dall’Espresso per Hogwarts…

planetario
credits: Infini.to

2. Infini.to! Il Planetario di Torino è il luogo “magico” per eccellenza. Attraverso le esperienze interattive, gli spettacoli, i laboratori scientifici, i pannelli di gioco e i pavimenti stellati i bambini si avvicineranno all’Astronomia in modo divertente e creativo… Per i più piccoli da 0 a 6 anni è possibile usufruire dell’ingresso omaggio, mentre per i ragazzi da 6 a 11 è prevista una riduzione sul biglietto. Da non perdere!

3. Higher Park. Il più grande Trampoline Park di Italia ha dedicato ai junior jumpers (bambini sotto 1 mt di altezza) un’intera area di tappetoni elastici cosparsi di giocattoli morbidissimi e palloni colorati. Portate qui i vostri bimbi, tirate fuori smartphone e macchine fotografiche e preparatevi a scattare le foto più divertenti del vostro album dei ricordi! Per i bambini più grandi e per i ragazzi, il parco Bounce offre ogni tipo di attività: l’Area Slam Dunk – un campo da basket elastico, il Dodgeball e gli atterraggi sulla Big Bag, un gigantesco cuscino gonfio su cui atterrare in tutta sicurezza.prato fiorito

4. Fuori Torino – Fiabosco. Se avete a disposizione un’intera giornata insieme ai vostri bambini, prendete in considerazione una gita fuori città. Torino è una location strategica per esplorare le magnifiche Alpi della Val d’Aosta, distanti poco più di un’ora in auto. A Col de Joux, tra Saint-Vincent e Brusson, sorge un parco dei divertimenti molto particolare. Fiabosco è un percorso, un’esperienza di gioco, ma soprattutto uno spettacolo teatrale con fate e folletti e orchi che si aggirano tra gli alberi raccontando fiabe ai bambini. Vi viene in mente qualcosa di più “magico” da regalare loro?

IL TAIL NUMBER

tail number su coda aereo Air Dolomiti
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Ricordate quando da bambini, durante i viaggi in auto, si giocava al gioco delle targhe? Intendiamo le vecchie targhe, quelle in cui “VR” stava per Verona e “BO” per Bologna.
“KR”, Crotone, valeva 3 punti. E le targhe straniere ne valevano 5…

Il tail number è un codice di registrazione degli aerei che ha più o meno la stessa funzione della targa per le automobili.

Origini del tail number

Agli albori dell’aviazione, nel 1913, i codici di registrazione degli aeromobili si basavano sui segnali di chiamata radio stabiliti alla Conferenza Internazionale della Radiotelegrafia di Londra. I codici facevano riferimento agli operatori radiofonici e non agli aerei.

In seguito, la Convenzione Internazionale per la Navigazione (Parigi, 1919) stabilì che il sistema utilizzato non fosse efficace ai fini dell’identificazione degli aerei e che quindi fosse necessario un nuovo criterio di registrazione.

I nuovi codici erano molto più pratici. La sigla nazionale, seguita da un trattino e una stringa di quattro lettere, era l’ideale per riconoscere la provenienza di un aereo e – con ogni probabilità – la nazionalità del suo pilota.

La lista delle sigle nazionali fu ufficializzata alla Conferenza Internazionale della Telegrafia di Washington nel 1927 ed entrò in vigore nel 1928. Fatta eccezione per qualche cambiamento, è valida ancora ai nostri giorni.

Poi, nel 1944 la Convenzione di Chicago ha stabilito i principi alla base dell’aviazione civile e del trasporto aereo mondiale. Tra questi, anche l’obbligo di registrazione degli aeromobili presso un’autorità nazionale (in Italia l’ENAC – Ente Nazionale per l’Aviazione Civile).

Paese che vai, tail number che trovi

Il numero di caratteri e la combinazione di lettere e numeri nel tail number variano in ciascun Paese.

Negli Stati Uniti il tail number è anche detto N-number, perché la sigla nazionale è la sola lettera “N”. A seguire ben cinque numeri senza alcun trattino, oppure tre numeri e il codice IATA in chiusura.

Non è difficile distinguere le lettere “I” per l’Italia, “D” per la Germania, “F” per la Francia, “LX” per per il Lussemburgo, ma nel caso di “G” per il Regno Unito, “EC” per la Spagna e “XA”, “XB” oppure “XC” per il Messico… La questione si fa più spinosa!

Curiosità

Come ormai sappiamo, ogni codice di registrazione è unico.
In alcuni Paesi è tuttavia possibile riutilizzare il tail number dopo la vendita e il ritiro, oppure nel caso in cui un aereo sia stato demolito o distrutto.

Il codice statunitense N-3794N è oggi assegnato ad un Mooney M20, ma era già stato utilizzato in precedenza. Apparteneva infatti al Beechcraft Bonanza sul quale viaggiavano i musicisti Buddy Holly, The Big Bopper e Ritchie Valens il 3 febbraio 1959: The Day The Music Died… Si tratta forse di un omaggio alle tre rockstar?

GUIDA PER PASSEGGERI CON ESIGENZE SPECIALI

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“Il consiglio che voglio dare alle persone disabili è di concentrarsi sulle cose che la disabilità non impedisce di fare bene e di non rimpiangere ciò che non si riesce a fare. Non siate disabili nello spirito, come nel corpo”. Stephen Hawking

Era il 1991 quando la piccola compagnia aerea Air Dolomiti iniziava a operare i primi voli interregionali Trieste-Genova con un Bombardier Dash 8 da soli 50 posti.

Fin dal principio, Air Dolomiti ha lavorato per costruire con il proprio personale e con i passeggeri un rapporto di fiducia basato sull’inclusività, sull’efficienza, sull’attenzione ai dettagli.

Guardare i particolari, guardare sempre all’orizzonte.

Da sempre abbiamo a cuore i bisogni di tutti coloro che scelgono la nostra compagnia e cerchiamo di rendere agevole il viaggio anche – e soprattutto – per i passeggeri con disabilità.

A bordo dei nostri aerei e in tutti gli aeroporti nei quali operiamo i nostri voli è possibile ricevere assistenza nella forma che più incontra le esigenze dei passeggeri.

Che si viaggi per lavoro o per svago, desideriamo offrire un servizio di qualità che renda gradevoli le partenze, gli arrivi e i transiti in aeroporto. I passeggeri con esigenze speciali non dovranno avere alcuna preoccupazione per le distanze, le procedure aeroportuali e il servizio bagagli.

Le richieste di assistenza speciale comprendono:

  • assistenza all’aeroporto durante l’imbarco, lo sbarco e/o il transito
  • utilizzo della propria sedia a rotelle (manuale o elettrica) anche in cabina
  • il trasporto di dispositivi medici speciali
  • il trasporto di un cane guida.

Per le persone non vedenti e non udenti è infatti consentito a titolo gratuito il trasporto di un cane guida che possa restare a fianco del padrone per tutta la durata del viaggio.

Inoltre, in conformità al regolamento ENAC vigente, l’assegnazione dei posti a sedere di disabili e persone a ridotta mobilità vicino ai propri accompagnatori non prevede costi aggiuntivi rispetto al costo del biglietto aereo.

Contatta il Sales Center Air Dolomiti al momento della prenotazione per richiedere un’assistenza adeguata in base alle tue necessità e comunque almeno 48 ore prima della partenza.

Ad Astra!

FIORENZA DE BERNARDI

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Fiorenza De Bernardi è stata la prima donna pilota di linea in Italia (e la quarta al mondo).

Quando era ancora una bambina, negli anni ‘30, Fiorenza sapeva riconoscere il modello degli aerei ascoltando solamente il suono dei motori.
Aveva sempre vissuto nei paraggi degli aeroporti, perché suo padre Mario De Bernardi era un colonnello dell’Aeronautica.
(Non solo un colonnello decorato con una medaglia al valore militare, ma anche un pioniere dell’aviazione, vincitore di gare di evoluzioni aeree in Italia e all’estero!)

La famiglia, di mentalità molto aperta per l’epoca, incoraggiava la passione di Fiorenza per lo sport e per la montagna, lasciandole provare tutto ciò che la rendeva felice.

Mentre ancora frequentava il liceo francese Chateaubriand di Roma, Fiorenza prendeva lezioni di arrampicata su roccia, faceva sci alpinismo e conquistava la vetta del Monte Bianco.

Il desiderio di vedere il mondo dall’alto la portò a volare con suo padre e a innamorarsi del volo al punto di volerne fare il proprio destino.

Le sue lezioni di volo erano molto intense. Di volta in volta suo padre ne aumentava la difficoltà coprendo con la mano uno a caso tra gli strumenti di bordo, per preparare Fiorenza ad ogni eventualità, guasto o condizione di volo.

Era il 1951, quando per la prima volta Fiorenza decollò da sola, all’insaputa di suo padre.
Capì immediatamente che quello sarebbe stato il suo lavoro.

Ma quello del pilota, negli anni ’50, non era considerato un lavoro DA DONNE.

Fiorenza De Bernardi fece domanda di assunzione a diverse compagnie aeree private, collezionando una serie di rifiuti.

Poi arrivò il colloquio con la piccola compagnia Aeralpi. Fu il generale Garretto, un personaggio che Fiorenza ricorda in diverse interviste come il suo deus ex machina, a convincere il presidente di Aeralpi con poche semplici parole: “Fa’ come se fosse un uomo. O va, o non va…”.

Negli anni ’60 e ’70 per Aeralpi Fiorenza portava i passeggeri da Venezia e Milano a Cortina d’Ampezzo, volando attorno alle sue (e nostre!) amatissime Dolomiti.

Vennero nuovi incarichi, nuove compagnie aeree, nuove tratte e nuovi ostacoli da superare.
I suoi colleghi uomini non la guardavano di buon occhio, ma a Fiorenza non importava affatto. “Qui sono arrivata e qui resterò per molto tempo!” diceva a chi non condivideva la sua professione.

Fiorenza De Bernardi scelse di indossare per tutta la vita una divisa con la gonna, perché anche da lontano si vedesse chiaramente che a pilotare un aereo era una DONNA.

COME VOLANO GLI ALIANTI?

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Chi ama il volo lo sa: non si vola soltanto a motore.
Proprio come le barche, gli aerei possono volare a vela. È questo il caso degli alianti.

L’aliante è un’aerodina, vale a dire un aeromobile più pesante dell’aria, con una fusoliera dalla forma molto affusolata e lunghissime ali che generano un’altissima efficienza aerodinamica.

Grazie allo sfruttamento delle correnti ascensionali di aria calda, l’aliante può sostenersi in volo rimanendo in quota senza l’uso di motori. Alcuni alianti, detti motoalianti, implementano anche motori a propulsione che consentono l’estensione del volo libero, come fossero ibridi tra alianti e aeroplani.

Il volo libero in aliante è principalmente un’attività sportiva, ma per pilotarlo è necessario ottenere una licenza SPL (Soaring Pilot Licence).

Ma come decollano e atterrano gli alianti?

Il decollo avviene grazie a un traino. Un cavo attaccato ad un aereo traina l’aliante fino alla quota desiderata, per poi sganciarlo e lasciarlo libero. Una simile tecnica può essere effettuata tramite verricello a motore che, da terra, “srotola” in aria un cavo d’acciaio che può allungarsi fino a 1,5 km.
Un altro sistema, più raramente utilizzato, è il “lancio”. Il lancio può essere effettuato da terra con un resistentissimo elastico oppure da un pendio, tecnica utilizzata nel parapendio.

L’atterraggio, invece, avviene grazie alla perizia del pilota, capace di calcolare con la massima precisione il rapporto tra quota e distanza della pista in base alle condizioni meteorologiche. Grazie allo straordinario rapporto tra la resistenza e la portanza del mezzo, è possibile “scivolare” sulle correnti aeree che, raffreddandosi, si abbassano.
Ed abbassandosi conducono l’aliante a destinazione.

Se oltre alle affascinanti leggi dell’aerodinamica siete amanti della storia, vi consigliamo di leggere l’articolo “Inventori di macchine volanti” per conoscere la curiosa storia di George Cayley, padre dell’aliante, che riuscì a realizzare il primo volo umano della storia, spaventando a morte il suo cocchiere…

PROFESSIONE PILOTA. INTERVISTA CON IL PRIMO UFFICIALE GRIGORY SHEVANDIN

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Quella del pilota è una professione gratificante.

Il VOLO porta con sé una serie di significati che toccano le corde più profonde degli esseri umani. Rappresenta la possibilità di superare le forze che regolano la natura attraverso la tecnologia e di acquisire quel “superpotere” che accorcia le distanze geografiche e vince la gravità.

Abbiamo incontrato il Primo Ufficiale Grigory Shevandin – tra i più giovani piloti di Air Dolomiti – e gli abbiamo fatto qualche domanda sulla sua carriera, per avere un quadro più chiaro di quale sia il percorso da intraprendere per diventare un pilota di aerei di linea.

Intervista con Grigory Shevandin, classe 1993, pilota Air Dolomiti dal 2019.

Primo Ufficiale Shevandin… Come e quando ha avuto inizio la Sua carriera di pilota di linea?

Intanto diamoci del Tu.
Ho iniziato a volare quando avevo circa 20 anni all’Aeroclub di Vercelli. Qui ho conseguito la Licenza di Pilota Privato (PPL), che abilita ad operare in qualità di pilota in comando (PIC) su velivoli monomotore. Questa licenza permette di condurre un aereo “single pilot” con passeggeri non paganti, quindi devi trovare qualche amico che abbia voglia di venire con te…

Quali sono i requisiti per conseguire una licenza PPL?

È semplice: bisogna aver compiuto almeno 17 anni ed aver ricevuto un certificato di idoneità psico-fisica rilasciato dall’Istituto di Medicina Legale dell’Aeronautica Militare.
Poi è necessario impegnarsi al massimo nello studio per superare un articolato esame teorico presso l’ENAC (Ente Nazionale Aviazione Civile). Infine la pratica: finito l’addestramento, bisogna sostenere un esame in volo, in presenza di un esaminatore autorizzato dall’ENAC.

E dopo?

Ogni percorso è differente. Io sono andato negli Stati Uniti, dove ho potuto accumulare le ore di volo necessarie ad accedere alla Licenza di Pilota Commerciale (CPL), che era il mio obiettivo fin dall’inizio. Ho deciso di completare questo passaggio nel Regno Unito, a Oxford. Per diventare un pilota di linea è necessario parlare bene l’inglese, competenza non richiesta ai piloti privati. Ho studiato per un anno, sostenendo 14 esami. Dopodiché sono tornato negli Stati Uniti, a Phoenix, per iniziare a volare con un aereo bimotore, allo scopo di “abituarmi” agli aerei commerciali.
L’ultimo passaggio, prima di fare domanda presso una compagnia aerea, è l’MCC, Multi Crew Coordination, un addestramento specifico per il volo di linea che avviene attraverso l’impiego di un simulatore di volo.

Quando sei entrato in Air Dolomiti?

Nel marzo del 2019 ho fatto domanda e sono entrato a far parte della compagnia. Lì è iniziato il mio addestramento specifico (Type Rating) sugli Embraer 190 e 195, che oggi piloto.

Che cosa significa per te essere un pilota di linea?

Ho sempre desiderato fare il pilota, fin da quando ero bambino. Questo è un lavoro che richiede molta testa, impegno, autocontrollo, capacità di adattamento e un carattere indipendente. Bisogna saper seguire le regole, attenersi ai protocolli, sempre. Diventare un pilota è una grande crescita personale, prima di tutto. La realizzazione arriva man mano che si cresce e che si accumula esperienza. Fino ad oggi ho accumulato 1200 ore di volo, quindi ho ancora molte pagine del mio libretto di volo da compilare…

A proposito. Che cos’è il libretto di volo (Pilot Logbook), come si ottiene e come si compila?

Il libretto di volo è, in poche parole, un registro di tutti i voli effettuati da un pilota. (Il Primo Ufficiale Shevandin ci mostra il suo: un librone rilegato con una copertina blu in pelle e caratteri dorati…) Il libretto di volo si ottiene all’inizio. È tutto qui, scritto e compilato dopo ogni volo in autocertificazione, sotto la responsabilità civile e penale del pilota. Per ogni volo effettuato bisogna compilare ben 12 colonne: data di inizio del volo, aeroporti di partenza e arrivo, modello dell’aereo pilotato, tempo totale del volo, nome del Comandante ed altri dettagli.

GLI HANGAR

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Come sono nati gli hangar?

È interessante partire dall’etimologia del termine “hangar” per rispondere a questa domanda.
La parola deriva con ogni probabilità dal franco haimgard, che significa “recinto annesso alla casa”.

Ricordate il pioniere dell’aviazione Louis Blériot?
Ebbene, durante una gara per attraversare la Manica in volo, Blériot si trovò a dover effettuare un atterraggio di fortuna presso una fattoria nel nord della Francia.
In cerca di un riparo per il suo monoplano guasto, l’aviatore si servì della stalla adiacente alla fattoria, nella quale riuscì a sistemare il danno e ripartire nel giro di pochi giorni.

Funzioni principali di un hangar

Gli hangar sono utilizzati per proteggere gli aerei dalle intemperie e dai raggi solari e per effettuare lavori di manutenzione, riparazione, assemblaggio e rimessaggio di aeromobili.

In poche parole gli hangar sono i garage e le officine degli aerei.

Si tratta di grandi strutture in acciaio e cemento pensate per contenere aerei (anche 50/60 unità!), oltre a motori di scorta, serbatoi di carburante e altre attrezzature pesanti.

Un hangar si articola in quattro zone divise da porte scorrevoli (una precauzione di sicurezza per prevenire gli incendi) ed è coperto da una tettoia ricurva per un’importante ragione di stabilità.
Gli aeroporti sorgono, infatti, in aree spesso prive di barriere naturali o artificiali che le riparino dal vento, e le strutture con i tetti piatti sono più vulnerabili.

Non solo aerei…

Nella prima metà del Novecento gli hangar giocarono un ruolo fondamentale nella gestione dei dirigibili, mezzi di trasporto molto più delicati degli aerei.

Oggi i più grandi hangar del mondo sono quelli che ospitano i veicoli spaziali, in particolare gli shuttle. A differenza dei “nostri” hangar, questi edifici si sviluppano in verticale, per via della tipica forma allungata delle navicelle spaziali.

Il Vehicle Assembly Building, per esempio, è un edificio del Kennedy Space Center della NASA progettato per ospitare la costruzione di grandi veicoli spaziali, come il Saturn V e lo Space Shuttle.
Con i suoi 3.664.883 metri cubi, è uno degli hangar più voluminosi al mondo ed è ancora oggi l’edificio extra-urbano più alto degli Stati Uniti.