Home Blog Pagina 10

AMALIA ERCOLI-FINZI, “MADRE” DELLA SONDA SPAZIALE ROSETTA

Reading Time: 2 minutes

Scrivere di Amalia Ercoli-Finzi sul nostro blog è un immenso onore. Come compagnia aerea, per l’ammirazione, per il suo ingegno nel campo in cui operiamo, come uomini, per la gratitudine verso il suo contributo al progresso e all’innovazione, come donne, per la sua determinazione come scienziata e come madre, come italiani, per l’orgoglio di essere suoi connazionali.

Amalia Ercoli-Finzi, scienziata ed ingegnere aerospaziale, ha lavorato alla creazione della sonda spaziale Rosetta, la sonda lanciata nello Spazio nel marzo 2004 che ha trasportato il lander Philae su una cometa il 12 novembre del 2014.

Nata a Gallarate nel 1937, è stata la prima donna italiana (tra le 5 iscritte alla facoltà su oltre 650 studenti) a laurearsi in Ingegneria aeronautica al Politecnico di Milano.

Oggi la Professoressa Ercoli-Finzi è una delle massime esperte mondiali in ingegneria aerospaziale, ed oltre ad essere consulente scientifico della Nasa, dell’Asi e dell’Esa, è stata direttrice del Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale del Politecnico di Milano, con la Cattedra di Meccanica Orbitale e Sistemi Spaziali. Tra i tanti riconoscimenti e i premi ottenuti grazie alla sua brillante carriera, ne menzioniamo uno che ci sta particolarmente a cuore: l’asteroide “24890 Amaliafinzi” porta il suo nome.

La Ercoli-Finzi ha dedicato la propria vita alle stelle comete e ai suoi cinque figli, senza mai rinunciare ad indossare tacchi vertiginosi, come ha dichiarato in un’intervista rilasciata al Corriere. Non solo, la Professoressa è una fervente cattolica e in più di una circostanza ha dichiarato ai media con grande convinzione che scienza e fede religiosa siano perfettamente compatibili.

Sostenitrice delle donne senza alcun estremismo ideologico, la Signora delle Comete (dal titolo del romanzo giallo di Tommaso Tirelli a lei ispirato) racconta di aver sempre cercato di favorire il percorso universitario delle studentesse, arrotondando talvolta i voti di un punto, perché “la differenza è poca roba, ma le donne hanno sempre subito una serie di ingiustizie”.

Nel continuare ad ammirare le stelle comete, un po’ più vicine a noi grazie agli studi di Amalia Ercoli-Finzi, rimaniamo in attesa di quel 2026 che oggi il colosso SpaceX ci indica come data plausibile per il nostro sbarco su Marte…

Credit photo: DLR German Aerospace Center

5 COSE CHE NON SAI SUGLI AEREI

donna che guarda aereo
Reading Time: 3 minutes

Chi segue da sempre il nostro blog sa di certo che abbiamo dedicato una rubrica alle questioni tecniche più serie, ma qui su #DYK (“Did You Know?”) amiamo restare su toni leggeri…
Perciò abbiamo stilato una classifica di cose che non sai sugli aerei, con domande curiose e risposte semplici, un pizzico di storia e qualche stranezza.

Ecco 5 cose che non sai sugli aerei:

  • Quali sono gli aerei più strani di tutti i tempi?C’è chi dice che l’aereo più strano sia il Beluga XL, evoluzione dell’Airbus A300-600ST Super Transporter, con la sua particolarissima forma di… cetaceo. Dopo una “balena” non si può che pensare a Pinocchio, visto il lungo “naso” del Boeing 720 C-FETB. Prodotto tra il 1959 e il 1967, C-FETB ha effettuato il suo ultimo volo nel 2012, viaggiando attraverso il Canada da Saint-Hubert (Quebec) a CFB Trenton (Ontario). Non passava inosservato per la sua stranezza il Lockheed XFV, dalla configurazione posacoda (capace di decollare e atterrare sulla coda, in verticale, come uno space shuttle!) che purtroppo, però, non superò mai i test per volare davvero…
  • Perché andata e ritorno sulla stessa rotta hanno durate diverse?
    Per volare da Roma a New York un aereo di linea impiega circa 9 ore, mentre per il ritorno da New York a Roma ne bastano poco meno di 8. Il motivo è da ricercarsi nella rotazione terrestre, seppur in modo indiretto. L’aereo, infatti, volando nell’atmosfera terrestre, ruota insieme ad essa senza subire alterazioni di velocità. Ma tale rotazione scatena l’effetto di Coriolis, che genera correnti a getto (jet stream) dovute alla differenza di velocità di rotazione della Terra, ad Equatore e Poli, al differente livello di riscaldamento della Terra e alle differenti pressioni atmosferiche nei diversi punti della nostra atmosfera. Tutto questo fa sì che i venti prevalenti vadano da Ovest verso Est. Sono quindi le correnti a determinare la minor durata del ritorno a Roma!
  • Perché i piloti di un aereo sono due?
    Se doveste fare un lungo viaggio in auto, non preferireste avere accanto un amico con cui darvi il cambio alla guida? Nell’aviazione vige il principio della ridondanza: due di tutto, perché la sicurezza è la prima cosa. Ma attenzione! Oggi, rispetto al passato, non è più così netta la distinzione tra pilota e copilota, anzi, le due figure hanno esattamente le stesse capacità di pilotaggio. Solo al comandante spetta però la responsabilità e la decisione finale. Durante il volo, però, i due piloti hanno compiti ben distinti: pilot flying (pilota che vola) e pilot monitoring (pilota che monitora). In questi due ruoli essi si alternano tra un volo e l’altro.
  • Che cos’è il triangolino nero sopra i finestrini degli aerei?
    Forse lo avrete notato, forse no. Sopra determinati finestrini degli aerei è attaccato un adesivo a forma di triangolo nero. La sua presenza sta a indicare all’equipaggio la posizione ottimale per esaminare l’ala e la sua superficie guardando dall’interno della cabina verso l’esterno. Tale prassi è fondamentale per controllare che tutto sia in ordine e che non vi sia, per esempio, del ghiaccio. Per la stessa ragione vi ricordiamo che è obbligatorio mantenere aperte le tendine dei finestrini durante il decollo e l’atterraggio!
  • Che cosa succede se un fulmine colpisce un aereo?
    La risposta è: assolutamente nulla. Sembra spaventoso, eppure si tratta di un fenomeno che accade regolarmente. Gli aerei sono infatti costruiti in metallo (per approfondire leggi questo articolo!), materiale conduttore per eccellenza. “Gli aerei commerciali sono progettati per essere colpiti dai fulmini”, afferma John Hansman, fisico e professore di Aeronautica e Astronautica presso il Massachusetts Institute of Technology.
    Insomma, anche se il tempo è brutto si può stare tranquilli.

Ci sono altre cose che non sai sugli aerei e che vorresti sapere?
Commenta sulla nostra pagina Facebook e cercheremo di accontentarti al più presto!

DI QUALI MATERIALI È FATTO UN AEREO?

Reading Time: 2 minutes

In questa rubrica, tra le più amate dai nostri lettori, ci siamo chiesti spesso “com’è fatto?”. Oggi invece, pur rimanendo in “zona” aerei, è il momento di cambiare domanda…

DI CHE COSA è fatto un aereo?

Iniziamo dalle parti più evidenti. La fusoliera, cioè la “carrozzeria” degli aerei e la struttura delle ali sono composte in alluminio, materiale resistente agli urti, al peso e alla torsione, flessibile e al contempo estremamente leggero.

Come senz’altro Voi lettori geek saprete, le leghe di alluminio non sono tutte uguali. Si pensi alle lattine delle bevande gassate, realizzate in Alluminio 3003, oppure all’alluminio comunemente utilizzato per la conservazione domestica degli alimenti, che deve rispondere a caratteristiche ben precise per la tutela della salute.

Le leghe di alluminio si suddividono in 9 gruppi in base ai componenti leganti. Le leghe principalmente impiegate nell’industria aeronautica sono l’Alluminio 7075 (gruppo 7000, leghe alluminio, zinco, magnesio), anche detto Ergal, e l’Alluminio 2024 (gruppo 2000, leghe alluminio-rame) o Avional. Lo stesso materiale, o leghe dalle proprietà molto simili, viene impiegato nella fabbricazione di serbatoi, carrelli, ordinate e longheroni, rispettivamente le sezioni verticali che fungono da “scheletro” alla fusoliera e gli elementi interni alle ali che ne tutelano la robustezza.

I finestrini degli aerei (ricordate il nostro articolo a riguardo?) sono invece composti da tre strati di polimetilmetacrilato (PMMA), una materia plastica formata da polimeri, più nota con nomi commerciali come Plexiglas o Perspex.
I finestrini vengono tagliati da lastre di Plexiglas colato, tramite un processo complesso che ne garantisce un’incredibile resistenza, imparagonabile a quella del vetro.

Gli interni degli aerei sono realizzati con materiali dalle caratteristiche specifiche per ogni necessità. I pavimenti, per esempio, sono comunemente rivestiti in PVC (cloruro di polivinile), facile da pulire e resistente alle scoloriture e all’usura; i sedili possono avere confortevoli fodere in lana, pelle o ecopelle, a seconda delle scelte estetiche della compagnia aerea di appartenenza. Plastiche di vario genere, vetro e gomma sono ampiamente utilizzati per la costruzione dei comandi e della strumentazione di bordo nella cabina di pilotaggio.

Ma proprio in questo momento la ricerca, in tale campo, fa passi da gigante. Presso la Lublin University of Technology, in Polonia, nuove leghe di alluminio, di carbonio e fibre di vetro sono oggetto di studio per diventare al più presto materiali utilizzati nella costruzione degli aerei del futuro…

Restiamo a vedere!

STORIA DELLA FOTOGRAFIA AEREA

Reading Time: 2 minutes

Mezzi di trasporto dal fascino irresistibile, gli aerei!

Ma in che cosa risiede tanto fascino, ci avete mai pensato? Forse nella sfida alle leggi di gravità, forse nella loro complessità ingegneristica, forse nel fatto che ci forniscano un punto di vista diverso sul mondo? Del volo, all’arte, interessa proprio quest’ultima ragione.

La fotografia aerea nasce dopo pochi decenni dall’invenzione della fotografia stessa, grazie ad una brillante iniziativa di Gaspard-Félix Tournachon, fotografo noto a Parigi con lo pseudonimo di Nadar. Nel 1858 il fotografo amico di Charles Baudelaire e degli altri esponenti della scena bohème parigina portò con sé una macchina fotografica durante alcuni viaggi in mongolfiera per catturare immagini della terra sotto i propri piedi.
Il risultato del suo pionieristico progetto fu pubblicato pochi anni dopo nel libro Les Memoires du Géant, fonte di ispirazione di diversi romanzi dell’amico Jules Verne.

Il lavoro di Nadar andò purtroppo perduto, per cui non resta che indicare la fotografia intitolata Boston as the Eagle and the Wild Goose See It (“Boston come la vedono l’aquila e l’oca selvatica”) del 1860 scattata dal fotografo americano James Wallace Black come la prima immagine aerea della storia.

La fotografia aerea, ai suoi albori, era strettamente legata alla cartografia: veniva cioè utilizzata per disegnare le mappe il più fedelmente possibile. Furono sperimentate tante tecniche, di cui alcune a dir poco bizzarre: il tedesco Julius Neubronner legò una macchina fotografica alle zampe di un piccione, mentre molti altri tra artisti, cartografi e meteorologi si cimentarono nella kite aerial photography, vale a dire la fotografia con aquilone (un antenato dei moderni droni!).

Naturalmente, il potenziale di simili tecniche non passò inosservato quando le guerre iniziarono a spostare gli equilibri del mondo moderno.

La Guerra Fredda fu il periodo in cui le tecniche della fotografia aerea vennero maggiormente affinate. Nacquero gli “aerei spia”, incaricati di scattare immagini in territorio nemico per conoscerne le strategie e i segreti, ma in seguito ai primi abbattimenti fu chiaro che il futuro dello spionaggio risiedesse nei droni e nei satelliti.

Oggi la fotografia aerea è un’arte apprezzata e riconosciuta, ampiamente utilizzata per raccontare il mondo, i cambiamenti climatici e per cogliere punti di vista di straordinaria bellezza.

Continuate a seguirci per conoscere tutti gli autori e le tecniche della fotografia aerea contemporanea!

AVIATORI E SCRITTORI DEL PASSATO: 3 LIBRI PER CHI AMA GLI AEREI

Reading Time: 2 minutes

Chissà perché alcuni aviatori amavano scrivere. Forse il mondo visto da lassù ispira racconti fantastici fatti di nuvole, di cieli azzurri e di nuove prospettive.

Ricorderete Antoine de Saint-Exupéry, famosissimo aviatore francese e autore di uno dei best-seller più noti al mondo, Il Piccolo Principe, che sorvolando i cieli dell’America Latina come direttore della linea aeropostale Argentina-Francia per conto della compagnia Aéropostale, decise di dar vita al personaggio di Fabien.

Volo di notte (Vol de nuit) del 1931 fu il primo romanzo di successo di Saint-Exupéry e gli valse nello stesso anno il Prix Femina, premio letterario dalla giuria esclusivamente femminile. Attraverso le vicende del personaggio di Fabien, in gran parte autobiografico, l’autore sollevò un tema considerato delicato agli albori dell’aviazione: il volo notturno. Le paure di Fabien, forse le stesse di Antoine, erano legate ad un’epoca in cui la strumentazione di bordo non era certamente precisa ed affidabile come ai nostri giorni e la navigazione al buio era assai più complessa.

Solamente un anno più tardi, nel 1932, fu pubblicato il libro Felice di Volare di Amelia Earhart , aviatrice già nota ai lettori del nostro blog :).
Con questo racconto personale, fatto di passione, sacrifici e innumerevoli record mondiali, Amelia segna una pietra miliare nella lotta per l’emancipazione femminile, diventando un’eroina e un punto di riferimento per tutte le donne.

Il terzo libro che non deve mancare tra gli scaffali degli amanti del volo è L’Italia al Polo Nord del 1930 di Umberto Nobile. L’ultimo dei nostri consigli di lettura di oggi, se pur il primo in ordine cronologico, è strettamente legato alla storia dell’Italia durante il ventennio fascista. In quegli anni il generale Nobile, ingegnere, pioniere, esploratore e brillante scrittore fu protagonista di un lacunoso processo ed abbandonato dal governo perché iscritto al Partito Comunista.

Rimane il fatto che le sue esplorazioni al Polo Nord (inizialmente utilizzate come pubblicità positiva per il Paese dal regime che si andava consolidando) sono ancora oggi una conquista ed un vanto, nonché un avventuroso racconto da leggere tutto d’un fiato.

PERCHÈ LA BARRA DI COMANDO SI CHIAMA “CLOCHE” IN ITALIANO?

Reading Time: < 1 minute

Ogni articolo del nostro blog è tradotto in tre lingue: italiano, tedesco ed inglese. Talvolta affrontiamo tematiche trasversali, ma in alcuni casi l’uso di una lingua rispetto ad un’altra richiede maggiori precisazioni.

Detto, fatto: in italiano, per indicare la barra di comando di un aereo, è comunemente utilizzato il termine francese “cloche”, che non corrisponde affatto allo stesso strumento, detto dai francesi “manche” o più genericamente “commandes”, al plurale.

E allora da dove deriva il termine “cloche”?

In francese “cloche” significa letteralmente “campana”, parola che non richiama l’immagine di una barra di comando neanche per la più fervida delle immaginazioni.

La ragione è da ricercarsi nel cambiamento che questo strumento ha subito con il passare del tempo. La barra di comando, adottata fin dai primordi dell’aviazione, fu da un certo momento in poi sostituita dalla barra laterale (sidestick) ed ancora successivamente dal volantino (yoke), lo strumento di comando a forma di U che si trova sugli aerei di grandi dimensioni.

Fu quindi necessario coniare termini che differenziassero i diversi dispositivi di comando. La classica barra è dotata di un rivestimento in pelle o in gomma che protegge gli ingranaggi da polvere, dalla sporcizia o dalla caduta accidentale di piccoli oggetti (come il bottone di una camicia) che ne possono compromettere il corretto funzionamento…
Lo stesso rivestimento è adottato dalla maggior parte delle case automobilistiche per coprire le leve del cambio delle automobili.

Ebbene, quel rivestimento non ricorda forse la forma di… una campana?

MARY CHANCE VANSCYOC

Reading Time: 2 minutes

Quando parliamo di donne la cui storia ha rappresentato una pietra miliare nel campo dell’aviazione, dobbiamo sempre immaginare contesti molto differenti da quello di oggi.

Possiamo ragionevolmente pensare che, quando nel 1938 la giovanissima Mary Chance VanScyoc vinse il Women’s State Rifle Championship imbracciando un fucile, qualcuno le abbia detto: “Lascia perdere, questa è roba da uomini!”. Il mondo stava già cambiando, in fin dei conti, se un simile campionato prevedeva una categoria femminile, ma di lì a poco la guerra avrebbe stroncato i sogni e le conquiste delle donne per molti anni ancora.

Mary fu però la prima donna a concludere gli studi di aviazione presso l’Università di Wichita, nel Kansas, mantenendosi grazie a un lavoro saltuario come babysitter e continuando a ricordare il suo primo volo su un Clyde Cessna come uno dei momenti più entusiasmanti della propria vita. Gli aerei erano ben più interessanti delle armi!

Nel 1942 Mary venne a conoscenza di un’interessante opportunità di lavoro: l’aeroporto di Denver aveva da poco aperto alle donne le selezioni per la posizione di Controllore del traffico aereo. A Denver Mary lavorò con dedizione presso la torre di controllo, calcolando manualmente i dati del traffico senza l’ausilio di radar né computer.

Carta, penna, ingegno e molta, moltissima precisione: Mary si distinse da subito per la propria abilità e fu presto ammessa alla scuola di volo divenendo istruttrice in meno di due anni dal suo esordio come controllore.

Personaggio eclettico e dal talento trasversale, Mary non volle rinunciare a diventare moglie e madre di tre figli, senza mai trascurare la propria passione per il volo. Per tutta la vita si dedicò all’insegnamento, formando decine di piloti e di studenti di aviazione.

A 64 anni volle scrivere una nuova pagina della propria vita, prendendo lezioni di elicottero per volare in solitaria. Mary Chance VanScyoc fu una donna incredibile a detta di coloro che ebbero la fortuna di incontrarla e si racconta che abbia continuato a pilotare qualsiasi tipo di mezzo volante (tra cui un bombardiere della Seconda Guerra Mondiale a ben 74 anni!) finché ebbe la forza di farlo.

Se, come noi, vi siete appassionati della storia di Mary Chance VanScyoc, non perdete il suo libro A Lifetime of Chances e lasciatevi trasportare più in alto delle nuvole da una pioniera dell’aviazione.

AMELIA EARHART

Reading Time: 2 minutes

Se dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna, dietro ad una grande donna, spesso, c’è un’altra grande donna.

Amelia Earhart, la prima aviatrice ad attraversare l’Oceano Atlantico prima e il Pacifico poi, acquistò il suo primo biplano proprio grazie all’aiuto di sua madre, che supportò e finanziò il sogno della figlia di imparare a volare in un’epoca in cui l’aviazione era ancora considerata “roba da uomini”.

Era il 1920, pochi anni dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, quando Amelia salì per la prima volta su un biplano. L’esperienza che cambiò completamente la sua vita nacque da un’idea del padre Edwin, che la portò con sé al Daugherty Airfield di Long Beach in California per sorvolare Los Angeles in un breve giro turistico. Fu però la madre a credere nel sogno ambizioso di Amelia di diventare pilota.

La giovane ragazza del Kansas lasciò così il suo lavoro di infermiera presso l’ospedale militare in Canada in cui aveva prestato servizio durante la guerra e iniziò a prendere lezioni di volo. Un percorso simile a quello di un’altra grande donna della storia dell’aviazione: Ellen Church, la prima donna assistente di volo.

Amelia si dimostrò fin dall’inizio un pilota capace e promettente e ben presto fu in grado di battere un record femminile, raggiungendo la quota di 14.000 piedi proprio a bordo del biplano acquistato con l’aiuto della madre. Il primo di molti record, in effetti. Otto anni dopo il suo primo volo, Amelia fu la prima donna a sorvolare l’Atlantico in solitaria (il primo in assoluto fu Charles Lindbergh, ricordate?). Nel 1931 raggiunse i 18.415 piedi stabilendo il record mondiale di altitudine e nel 1932 fu la prima aviatrice a sorvolare gli Stati Uniti senza effettuare scali, dalla California al New Jersey.

Amelia, con il soprannome di “Lucky Lindy” ispirato proprio all’aviatore Lindbergh, fu un esempio di coraggio e caparbietà per le donne dell’epoca, grazie anche al risalto mediatico delle sue imprese.

Il 1937 fu l’anno della sua più grande impresa: la circumnavigazione del globo a bordo di un Lockheed Electra 10E. Purtroppo, durante la penultima tappa del viaggio, dopo ben 35.000 chilometri percorsi, Amelia ed il suo navigatore Fred Noonan scomparvero in mare e non furono mai più ritrovati.

“Lucky Lindy” (“Fortunata Lindy”) fu ribattezzata in seguito “Lady Lindy”, ma la cantante folk canadese Joni Mitchell preferì ricordarla per sempre con il solo nome di “Amelia”.

A ghost of aviation
She was swallowed by the sky
Or by the sea, like me she had a dream to fly
Like Icarus ascending
On beautiful foolish arms
Amelia, it was just a false alarm…

BESSIE COLEMAN

Reading Time: 2 minutes

Bessie Coleman nasceva nel 1892 in uno dei luoghi peggiori in cui una donna come lei poteva coltivare le proprie aspirazioni: il Texas, stato secessionista per eccellenza.
Tredicesima figlia di una famiglia di mezzadri, Bessie non ebbe di certo un’infanzia semplice: camminava ogni mattina oltre 6 chilometri per raggiungere la scuola per soli neri e ogni anno, regolarmente, interrompeva le lezioni per la raccolta del cotone. Perfino suo padre, stanco delle condizioni di vita in Texas, lasciò la famiglia per recarsi nel più aperto Oklahoma.

Nonostante le difficoltà, Bessie, testarda, sognatrice e determinata, scelse di abbattere le barriere razziali, piuttosto che accettarne le conseguenze.

Nel 1920 Bessie comprese che per imparare a volare doveva lasciare gli Stati Uniti: fu accettata alla scuola di volo Société des Avions Caudron di Le Crotoy e si esercitò su un biplano Nieuport-82. Era l’unica allieva afroamericana del suo corso.

Solamente un anno dopo, esattamente il 15 giugno del 1921, Bessie Coleman divenne la prima donna afroamericana a ottenere un brevetto di pilota di aviazione.

All’epoca l’aviazione civile non era ancora considerata un settore in cui far carriera. Per questa ragione la Coleman decise di inseguire il suo sogno imparando ad effettuare acrobazie in volo, ma nuovamente dovette recarsi in Francia per diventare un’esperta di figure a otto, manovre a vite, looping e passaggi rasoterra. Grazie alle sue manovre spettacolari, Bessie divenne famosa anche negli Stati Uniti, ma dovette rinunciare al progetto, per i tempi troppo ambizioso, di fondare una scuola di volo per afroamericani, come scrisse in una lettera destinata a sua sorella.

Bessie Coleman morì a soli 34 anni, ma il suo ricordo vive ancora oggi. Ogni 2 maggio, infatti, Chicago festeggia il “Bessie Coleman Day” e una strada nei pressi dell’aeroporto O’-Hare è intitolata al suo nome.

Grazie Bessie, a nome di tutte le donne.

GLI AEREI NELL’ARTE CONTEMPORANEA

Reading Time: 2 minutes

Chi non ha mai sognato di volare! Durante la fase REM del sonno il nostro inconscio manifesta desideri e volontà, ci offre utili consigli e in qualche maniera, ci indica la “direzione” da prendere. Si tratta di un fenomeno difficile da spiegare tramite la scienza, ma, come spesso accade, sono le arti ad affrontare l’inspiegabile.

Il volo è per eccellenza il sogno e il desiderio più ricorrente dell’uomo, fin dall’antichità. Molti artisti hanno fatto del volo il tema centrale della propria produzione: da Leonardo Da Vinci all’Aeropittura futurista del ‘900.

Oggi sono molti i pittori, gli scultori e i performer che hanno raccontato la propria versione del volo.

Anselm Kiefer, pittore tedesco tra le maggiori personalità della scena artistica contemporanea, deve la sua fama alla complessa ricerca e all’uso di materiali eterogenei nella realizzazione delle sue opere. Sulle sue preziose tele sgretolate compaiono vere eliche in metallo in contrasto con i colori della terra, mentre la sua imponente installazione di aerei da guerra intitolata For Louis-Ferdinand Céline: Voyage au bout de la nuit fece scalpore al Copenhagen Contemporary nel 2017.

Fiona Banner, inglese classe 1966 e finalista per il Turner Prize nel 2002, ha invece il merito di aver installato uno scintillante aereo d’attacco RAF Jaguar nel bel mezzo della Tate Britain. La Banner utilizza gli aerei da guerra come riflessione sulla guerra stessa e sulle sue devastanti conseguenze. In passato ha infatti creato un catalogo di aerei da combattimento in uso dai militari britannici ed ha pubblicato un libro di 1000 pagine che descrive frame-by-frame i film sulla Guerra del Vietnam.

Ed ancora la statunitense Amber Riley ha realizzato per la Saatchi Gallery un’intera porzione di fusoliera di aereo con tanto di finestrini illuminati a LED, mentre l’eclettica fotografa e video maker Nina Katchadourian ha ricreato famosi quadri fiamminghi immortalando se stessa nelle toilette degli aerei. Nella serie dal titolo Lavatory Self-Portraits in the Flemish Style (“Autoritratti nella toilette in stile fiammingo”), la Katchadourian ha utilizzato carta igienica e tovaglioli per ricreare costumi e ambientazioni quattrocentesche.

Ovunque vi troviate nel mondo, dedicate qualche ora del vostro tempo all’arte.
Potreste rimanere coinvolti in un sogno, proprio come accade nella fase REM. E potreste anche imparare qualcosa sul volo…